PaesedelleStreghe

Contus

Una tragica commedia di Streghe

di Davide


VIII

L’albeggiare arrivò presto. I raggi del sole illuminarono la vasta distesa del Campidano, risaltando gli orti e i campi arati in un baluginare mattutino che asciugò la prima rugiada. I fiotti di luce arrivarono fino alle pendici della catena del Linas e fino a Villacidro, e ivi penetrarono le case dalle strette finestre aperte, mentre i passerotti, infreddoliti, cinguettavano allegramente, balzando da un tetto all’altro, e da un albero all’altro. Allora, i primi segni di vita cominciarono a destarsi sonnacchiosamente: carri trainati da asini, buoi e cavalli iniziarono a percorrere le viuzze del paese; gente che chiacchierava sommessamente usciva di casa per dirigersi negli orti o nel Lavatoio. Il tutto condito da sbadigli, saluti e risate, nella consapevolezza del nuovo giorno e nell’ignoranza di quanto era avvenuto la notte appena trascorsa.
Donna Maria era ancora addormentata, quando Don Raffaele, svegliandosi, la vide al suo fianco profondamente assopita. Allora sussultò, rimembrando la notte appena passata. Poi ebbe il dubbio che tutto quello che aveva visto fosse stato il frutto di un brutto sogno. Si alzò cautamente e si vestì. Uscì e scese giù nella cucina, dove Lucia Musinu, già in piedi, era indaffarata nelle faccende domestiche.
Don Raffaele, quando la intravide, si bloccò e la guardò di sottecchi, accennando un saluto. Ecco la strega, si disse, mentre fissava il suo viso arcigno.
Intanto, nell’aria si diffondeva un gradevole odore di latte, caffé e pane appena sfornato. Don Raffale sentì i primi crampi allo stomaco. Si sedette sul grande tavolo di legno e attese che Lucia Musinu gli portasse la colazione. Anche se era una strega, ammise, ci sapeva fare con la cucina.
La serva si mosse immediatamente: in una grande tazza di ceramica gli versò il caffé fumante, aggiungendovi poi un po’ di latte di capra caldo. Gli mise accanto alcune fette abbrustolite di civraxu e si allontanò. Il tutto, senza alcuna parola, tanto che Don Raffaele, che sapeva la donna loquace, si domandò insistentemente del perché non parlasse. Alla fine, dopo aver tastato un po’ la colazione, guardò nuovamente la serva che spazzava il pavimento.
“Lucia,” esordì titubante, “come mai quell’aria truce? Non è che stai male? Se vuoi portiamo qui il dottore!”
La serva sbiancò. “Mai che io voglia un simile essere che mi tasti il corpo!” disse, quasi offesa, e con una carica d’odio che le fece lampeggiare gli occhi. “Se ciò dovesse accadere, una fattura gli faccio!”
Don Raffale sussultò, perché sapeva che l’avrebbe fatto. In ogni caso, non comprendeva quale uomo avesse il coraggio di toccarla, se non per necessità professionale. “Perché dici questo?” ribatté infine, prendendo coraggio.
“Il mio corpo è sano, oh su meri.”
L’uomo annuì: era chiaro che l’astio avesse a che fare con la sua natura di strega. Non poteva essere diversamente. Già. E ora pure la moglie… Oh, cosa doveva fare? Rivolgersi a un prete? Don Peppinu Frongia l’avrebbe cacciato via a pedate dalla Chiesa, se fosse andato a raccontare simili cose! Peggio, l’avrebbe fatto scomunicare dal Vescovo. No, non era quella la soluzione. Eppure doveva trovarla. Doveva informarsi su come allontanare la malvagità della strega dalla sua casa, e salvare così la moglie e le figlie.
Nel piano superiore, Teresina e Caterina erano già deste da un pezzo. Ogni tanto spiavano la camera dei genitori per vedere se il padre, mattiniero, si fosse già alzato. E quando avevano sentito i passi pesanti dell’uomo che scendeva le strette scale di legno, scricchiolanti al suo peso, uscirono e andarono verso la sua camera. Bussarono un paio di volte, prima che una voce assonnata rispose: “Avanti!”
Le due ragazze entrarono. Donna Maria era già in piedi. Quando vide le figlie vi si buttò sopra, piangente. Le due ragazze non capirono, finché la donna, singhiozzante, non parlò: “Oh, poveri noi, figlie mie… Che disgrazia che ci è capitata! Il nostro buon nome offeso fra i villacidresi…”
Le due ragazze si guardarono. Sapeva già tutto? Allora si strinsero a lei: era inutile ostentare ignoranza. “Sì, mammài, povere noi! Che vergogna…”
La donna, con le grosse guance rigate di lacrime, annuiva. “Sì, sì… vostro padre…”
“Che vergogna!” esclamò Teresina. “Un uomo della sua età, del suo prestigio…”
“Già,” la seguì Caterina. “Come ha potuto fare questo…”
“Oh povere noi,” insisteva Donna Maria. “Che cosa abbiamo fatto di male per meritare questa infamia?” Poi, quasi accortasi che qualcosa non tornava, si staccò dalle figlie e le guardò sospettosa: “Che c’entra vostro padre? Io non parlavo di lui? Che mai ha fatto per disonorare il suo nome?”
Le ragazze si guardarono con aria interrogativa, poi fissarono la madre: non sapeva nulla? Oh, povera donna, pensarono. Fu Teresina a parlare. “Oh, mammài, non so se abbiamo il coraggio di dirtelo…”
La donna arricciò il naso. Si portò le mani ai fianchi e fissò ferma gli occhi delle figlie. “Che cosa? Suvvia parlate,” e guardò Caterina con aria severa.
“Oh, povera mammài,” riprese, piangente, Teresina, “nostro padre si vede con la meretrice… Graziedda…”
La donna per poco non svenne. Si buttò nel letto, impallidita: questo era troppo! Prima la figlia, ora il marito. Com’era possibile che tutto ciò potesse accadere nel giro di una serata? Che male aveva fatto? Quale incantesimo malvagio, quale fattura, aveva colpito la loro tranquilla esistenza? “Siete sicure?” balbettò, col viso nuovamente rigato dalle lacrime.
Le ragazze, piangenti, annuirono. “Sì, sì, mammài. L’abbiamo visto con i nostri occhi… Era insieme a quell’alcolizzato di Ziu Basiliu. L’abbiamo seguito, quando tu ci hai lasciato il biglietto. Noi pensavamo che fosse andato a cercare te… Ma poi abbiamo capito che non era così…”
“Basiliu? E cosa c’entra lui?”
Le ragazze raccontarono quello che era successo quella notte.
“Ah, è così?” annuì, Donna Maria con il viso tirato. “Era tutta una messinscena! Ecco dove stava andando quel pastore, quando l’ho incontrato! Era tutto organizzato con quello sciagurato!”
In quel momento, Lucia Musinu entrò in camera. “Oh sa meri,” disse, “ha già raccontato tutto?” e guardò le ragazze piangenti. “Hanno già confessato?”
Donna Maria scosse la testa e scoppiò a piangere. “Serva mia, c’è di peggio!... Molto peggio!”
La serva rimase spaesata. “In che senso? Don Raffale è giù che beatamente si gusta la colazione, e voi siete tutte qui a piangere?”
“Quel porco!” sibilò Donna Maria.
Lucia Musinu, nel sentire l’improperio, rimase scandalizzata. “Ma… Donna Maria, ma che dite?”
La padrona scosse la testa, e indicando l’unica sedia nella stanza, ordinò: “Siediti, serva fedele, che ti raccontiamo la triste verità.”
Quando Donna Maria ebbe finito, pure la serva cominciò a gemere. “Oh, povere noi,” mugolava. “Ma quale maleficio ha colpito questa casa?”
Qualcuno, in quel momento, chiamò dal piazzale. Lucia Musinu si affacciò con le lacrime agli occhi. Quando vide chi era, sbiancò. Si girò verso Donna Maria e disse con odio. “Ecco, è arrivato l’altro criminale! Pare che siamo alla resa dei conti! Giuannica Marajani l’aveva predetto!”
“Chi è arrivato?” chiese Caterina, che stava affacciandosi alla finestra.
“Tu rimani qui, e non farti vedere!” disse Donna Maria, trattenendo la figlia. “Che a quello ci pensiamo noi!”
Le due ragazze non capirono, e mentre le due donne scendevano di fretta per le scale, si affacciarono, vedendo solo il medico, Gioacchino Murgia.
Don Raffaele, intanto, avendo udito la voce familiare del dottore, si affacciò sorridente: “Venite dentro, dottore! Quale buon vento? Ho proprio del caffé caldo…”
Il vecchio medico si avvicinò alla porta, e con la sua faccia irsuta e sorridente fece un cenno di saluto a Don Dettori, stringendogli la mano. “Oh, mio caro Don Raffaele,” disse, “sono venuto qui per Caterina… L’altro giorno…”
La frase non fu terminata. Donna Maria, appena scesa, scostò il marito dall’ingresso e, come una furia, si gettò sopra il medico. L’uomo, allibito, cadde a terra, mentre la donna lo colpiva ripetutamente sul viso. “Maledetto porco! Tu ci hai rovinato!” gridava.
Quasi immediatamente arrivò pure Lucia Musinu, che partecipò alla bagarre, fendendo calci ai fianchi del vecchio medico che urlava aiuto.
Don Raffaele rimase stranito, e stava per dare man forte al povero dottore, credendo ciecamente che le due donne ormai erano possedute da qualche malefico demonio, quando dal grande portone, qualcuno chiamò. “Don Dettori! Ci siete?”
Nell’udire quel richiamo, le due donne si fermarono come d’incanto e guardarono in direzione della voce. Il vecchio medico, terrorizzato, profittando della pausa, con la faccia gonfia e gli occhi lacrimanti, cercò di liberarsi e tirarsi indietro; possibilmente, di fuggire. Ma Donna Maria, fissando con odio Graziedda Salis, in piedi dinanzi al portone, lo trattenne per la caviglia. “Dove credi di andare?” gli sibilò. “Con te non abbiamo ancora finito!”
La meretrice, intanto, guardando spaventata quella bizzarra situazione e il povero medico, suo affezionato cliente, malmenato e steso sul piazzale, con le due donne che lo trattenevano per le caviglie, non seppe che fare. Sorridendo debolmente, guardò Don Raffaele, e agitò il suo capello. “Don Raffaele... questo è vostro… Due miei…”
Donna Maria si alzò e si diresse con calma verso la donna. “ Deh! Chi te l’ha dato il capello di mio marito?” chiese, feroce.
Graziedda Salis sussultò. “Me l’ha dato…” Senza finire la frase, si voltò e cercò di fuggire via, mollando il capello di stoffa. Ma Donna Maria, nonostante la mole, fu più veloce di lei e la prese per la coda dei capelli, facendola cadere per terra.
La meretrice gridò aiuto. Ma Donna Maria pareva indifferente alle urla. “Vieni, bella mia, vieni che oggi facciamo tutti i conti,” e mentre lo diceva, trascinava la donna verso il centro dell’aia.
Sono pazze! Questo pensava Don Raffaele, come vedeva la moglie e la serva invasate che malmenavano il medico e la meretrice. “Maria mia, ma che stai facendo? Smettila!” le urlò.
Donna Maria guardò torva il marito. “Con te facciamo i conti più tardi!”
Don Raffaele sussultò. “Ma che stai facendo? Le urla attireranno i vicini che chiameranno i carabinieri!”
“Zitto, oh su meri!” fece Lucia Musinu, furiosa, “che stiamo riparando alle offese subite. Zitto! Che Donna Maria è una santa donna e voi siete un pervertito! E con voi, questo qui!” E ridendo in modo lugubre, indicò Gioacchino Murgia, piangente e supplichevole che venisse lasciato andare.
“Ma che vai dicendo, o serva?” rispose Don Raffaele, offeso. “Guarda che io qui sono il padrone! Stai al tuo posto!”
Donna Maria guardò nuovamente il marito, mentre incurante manteneva per la coda la meretrice. “Ha ragione lei!” gli replicò, minacciosa. “Lucia Musinu è una santa donna e ha ragione! Noi qui si sta riparando a due torti!”

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