Basiliu Marongiu si ridestò, aiutato da alcune persone che avevano
udito gli schiamazzi. “Ehi, Basiliu, ci senti?”
L’uomo aprì gli occhi, e subito sentì un forte cerchio
alla testa e un dolore sulla nuca. Se la toccò, scorgendovi un bernoccolo.
Cercò la berritta, e la trovò al suo affianco. Imprecò,
guardando chi l’avesse aiutato.
“Ma si può sapere cosa ti è successo?” disse uno.
“Certamente ha bevuto,” rispose l’altro, ridacchiando. “Non
senti l’odore di vino che gli esce dalla bocca?”
Basiliu, intanto, si era alzato e spolverava il capello, cercando di ripararsi
dalla luce della lampada a olio che i due gli puntavano addosso. “Ma
perché non vi fate i fattacci vostri e tornate a dormire?” ringhiò,
stizzito. “Ai miei affari ci penso io!”
“Sì, sì, Basiliu,” rise uno. “Se lo scopre
Don Raffaele, sono guai per te! In quel caso sì che sono affari tuoi!”
Il vecchio mugugnò e, claudicante, si allontanò da quei due
stolti e dalle loro illazioni, cercando di ricordare cosa gli fosse successo.
Mentre scendeva per la via Roma, se ne ricordò. Allora accelerò
il passo, finché non si mise a correre verso casa di Don Raffaele.
La luna era alta nel cielo, ma avrebbe trovato modo di sapere se avesse sognato
o meno, se quello che ricordava fosse frutto dell’alcool, oppure no.
Nel primo caso, avrebbe fatto giuramento solenne alla Madonna del Carmine
di non bere più.
Quando arrivò dinanzi alla casa, aprì il portone. Il cane, Lioi,
non abbaiò, riconoscendolo. Il piazzale era silenzioso, e dalle finestre
al secondo piano non filtrava alcuna luce. Erano tutti addormentati. Doveva
trovare un modo per svegliare i Dettori: solo allora avrebbe potuto capire
se avesse sognato. Così, sempre con il dolore che gli pulsava nella
testa, si guardò attorno. Alla fine trovò la soluzione: andò
da Lioi, e gli diede un forte calcio nella coscia, unendo così l’utile
alla vendetta per un morso che si era beccato l’anno prima. L’animale,
al forte dolore, cominciò a guaire e poi ad abbaiare ferocemente.
Immediatamente le luci si accesero, e la figura imponente di Don Raffaele,
una pozza leggermente scura contro lo sfondo baluginante della camera, si
affacciò un istante dopo. “Chi è là?” urlò
con la sua voce grossa.
“Sono io, Don Raffaele,” rispose Ziu Basiliu, togliendosi il capello
e scrutando l’immagine del padrone di sottecchi. “Perdonatemi,
sono entrato e non mi sono accorto del cane; gli ho pestato la zampa!”
“Sei un idiota, Basiliu! Che cosa ci fai a quest’ora a casa mia?
E dove hai lasciato le capre?”
“A Castangias, oh su meri… Stanno pascolando allegramente alla
luce della luna. Non vedete che bella luna alta e piena che abbiamo?”
Don Raffaele bofonchiò qualcosa, guardando il cielo limpido. Infine
disse, fissando la sagoma scura dell’uomo: “Non mi hai risposto:
cosa ci fai qui!”
Intanto che Ziu Basiliu ci pensava, dalla finestra affianco, si affacciarono
altre due figure: le figlie di Don Raffaele. Il vecchio pastore guardò
la sagoma riconoscibile del viso di Caterina e deglutì: povera piccola,
aveva pensato, così giovane… Alla fine trovò la scusa:
“Sono venuto a prendere la monciglia… L’ho lasciata qui,
da qualche parte...”
Don Raffaele imprecò, e agitando il braccio gridò: “E
va bene, va bene, Basiliu. Ma stai più attento! Qui c’è
gente che dorme!”
Il vecchio pastore non si fece sfuggire l’occasione: “Oh su meri,”
disse, prendendo coraggio, “riferisca a Donna Maria di perdonarmi del
rumore,” e rivolgendosi alle ragazze: “Anche voi, fiori splendenti,
perdonate questo vecchio pastore!”
Le ragazze risero e annuirono. “Non preoccuparti Ziu Basiliu,”
risposero all’unisono, “noi non ci siamo offese!!!”
All’udire le voci delle figlie, Don Raffaele si affacciò meglio
e guardò la finestra affianco. “E voi che ci fate alzate?”
le rimproverò, agitando il braccio. “Andate a coricarvi, e lasciate
che noi uomini si risolvano questi problemi da soli. Su! Andate!”
Le ragazze all’ordine imperioso si ammutolirono e rientrarono immediatamente,
chiudendo la persiana. Intanto, Don Raffaele guardò nuovamente in basso,
e vedendo ancora il profilo di Basiliu Marongiu, disse: “E tu, ancora
qui? Vai, che le capre ti aspettano!” e rientrò, chiudendo anch'egli
la persiana della propria camera.
Ziu Basiliu attese un attimo. Se non accadeva nulla, voleva dire che si era
sognato tutto. Nel caso, avrebbe mantenuto fede al patto. E ciò gli
dispiaceva assai.
Fu in quel momento che, dopo un gemito soffocato, la finestra della camera
dei Dettori si spalancò nuovamente. “Basiliu, pastore mio!”
urlò Don Raffaele, con voce inebetita. “Donna Maria non è
qui!”
“Ah, allora avevo visto giusto!” esclamò, soddisfatto Ziu
Basiliu, rimangiandosi la promessa di non bere più; la Madonna del
Carmine poteva aspettare.
“Che cosa vai cianciando?” replicò sospettoso Don Raffaele.
“Mi pareva di aver visto Donna Maria e la serva, Lucia Musinu, andare
per strade, poco fa…” e agitò il braccio in direzione di
piazza Frontera.
“Ma che dici?” sbraitò allora il padrone. “Guarda
che se hai bevuto, Basiliu…”
“Ma siete tutti fissati, oh su meri! Ma chi vi dice che io bevo?”
strepitò con aria offesa.
“Si dice, si dice!” annuì irritato Don Raffaele, che aggiunse:
“Aspetta lì, che ora scendo…“ Con quelle parole scomparve
al di dentro.
Ziu Basiliu rimase in attesa, notando che la luce della camera delle figlie
dei Dettori si era accesa nuovamente. Cominciarono a sentirsi una serie di
discussioni concitate, nelle quali erano riconoscibili le voci delle due ragazze
e dell’uomo. Non passò che un attimo, che la porta d’ingresso
si aprì dinanzi a Basiliu. Il padrone uscì, vestito di tutto
punto.
“Basiliu, vieni fuori con me,” tagliò corto, prendendo
il vecchio per un braccio. “Le mie figlie non devono udire nulla di
questa storia!”
Il pastore annuì, ed entrambi gli uomini uscirono per strada, allontanandosi
di una decina di metri, verso un grande albero di Cigraxia che delimitava
un aranceto.
Quando furono sicuri che nessuno, nemmeno a quell’ora notturna, avrebbe
potuto udirli, cominciarono a parlare.
“Ora dimmi quello che sai…” gli fece Don Raffaele. “E
bada di non tralasciare nulla.” La sua voce raschiata e grossa assunse
un’aria decisa e minacciosa allo stesso tempo. “Non si è
mai visto che una signora andasse in giro per le strade di paese a quest’ora
notturna!” sbottò.
Basiliu annuì, visibilmente intimorito e dubbioso se avesse fatto la
cosa giusta. “Sì… Sì… Oh su meri, le ho viste.
Erano in piazza Frontera… Le ho incontrate lì… Si muovevano
come ladri, e mi sono spaventato a morte!”
Don Raffaele annuì, e intuendo la reticenza del pastore, insistette:
“Ebbene? Cosa ti hanno detto? Parla!”
“Nulla… Nulla.” Basiliu scosse la testa. “Oh! Cioè
quasi nulla…”
“Ho detto di parlare!” Don Raffaele, più alto e robusto
di Ziu Basiliu, prese quest’ultimo per il bavero del colletto sudicio.
“Non fare il riottoso o ti spedirò a pascolare le capre a Monti
Mannu per un mese intero!” E subito dopo lo lasciò, storcendo
il muso per il pesante alito avvinazzato.
Ziu Basiliu, non badando alla faccia disgustata del padrone, si ricompose
e raccontò il fatto, omettendo però di parlare di Caterina.
Aveva timore di Don Dettori, ma di più ne aveva di Donna Maria. Se
avesse raccontato pure il dramma della figlia dei due, Donna Maria gliel’avrebbe
fatta certamente pagare con due mesi di isolamento sui monti. Dunque, tra
il vedere e il non vedere, era meglio tacere: se qualcosa doveva essere detto,
sarebbe stata Donna Maria a farlo. Non lui, povero pastore di montagna.
Le parole di Ziu Basiliu lasciarono di stucco Don Raffaele Dettori. “Ma
sei sicuro?” chiese, dubbioso.
“Certo che sì, oh su meri. Mica ho avuto le traveggole!”
Don Raffaele si portò le mani nei folti capelli brizzolati. “Oh,
che disgrazia! Mia moglie sotto il giogo di una strega… Ah, ma io lo
sapevo che lo era! Eccome se lo sapevo!”
“Ma di chi parlate, oh su meri? Di Giuannica Marajani?”
“E di chi se no?” replicò Don Raffaele, seduto chino su
un masso ai piedi del grande albero, le cui fronde frusciavano alla lieve
brezza notturna. “E di chi se no, se non di quell’arpia?”
“Macché! Quella è tutto, ma non è una strega!”
ribatté Ziu Basiliu, sottovoce, fingendo di non credere alla fama della
vecchia megera. “No,” rivelò in un atteggiamento di cospirazione,
“quella pericolosa, oh su meri, è sa strangia… Lucia Musinu!”
Dicendo quel nome, rise sotto i baffi: la vendetta si stava consumando.
“Lucia Musinu? Ma che vai dicendo!” esclamò Don Raffaele,
incurante del fatto che qualcuno potesse davvero sentirlo. “Mi è
sempre parso che fosse una brava serva…”
“Sì, sì… Davanti!” annuì solenne Ziu
Basiliu, con tono di chi sa il fatto suo. “Ma dietro… Dietro tramava
la conquista del cuore di vostra moglie già da parecchio! E dobbiamo
fermarla, o arriverà pure ai vostri due angeli…”
Don Raffaele deglutì. Effettivamente, convenne tra se, quella donna
era sempre stata un po’ troppo scorbutica e irriguardosa nei suoi confronti.
Ora finalmente capiva il perché… Oh se lo capiva. “Basiliu,
tu sai dove abita Giuannica Marajani?” chiese, deciso.
Ziu Basiliu cercò di trattenere a stento il sorriso di soddisfazione.
Lucia Musinu aveva le ore contate. “Si, oh su meri, lo so,” disse
in tono grave. “Se ci muoviamo, in dieci minuti siamo lì. E forse
faremo in tempo a salvare l’onore di vostra moglie!”