Nella casa dei Dettori, le due figlie di Don Raffaele e Donna Maria Spanu
non riuscivano più a prendere sonno. Così, mentre la notte trapuntata
di stelle, ammantando quello scorcio di Campidano e i monti a ridosso dei
quali il piccolo paese era adagiato, cullava i suoi abitanti nel sonno, le
due ragazze discutevano animatamente.
“Che si fa?” chiese Teresina, visibilmente preoccupata.
Caterina, morsicandosi il labbro e attorcigliando nervosamente un lembo di
vestaglia, ferma sulla porta, alzò le spalle. “Non lo so…”
e subito dopo aggiunse: “Ma cosa sta succedendo, Teresina? E dove sono
andate mammài e Lucia?”
“Non ne ho idea,” rispose la sorella, mentre girava nella stanza
visibilmente agitata. E’ un mistero anche per me!”
Caterina annuì. “Oh, poveri noi… Prima il mio problema!…”
“Ancora con quella storia!” sbottò Teresina, spazientita.
“Abbiamo ben altre cose a cui pensare ora,” e mentre lo diceva,
lo sguardo le cadde sul comò. Si avvicinò perplessa, scorgendovi
un biglietto della madre: la calligrafia arricciata e tremula era certamente
sua, anche perché non poteva essere diversamente, visto che Lucia Musinu
non sapeva scrivere.
Lo lesse attentamente, mentre Caterina le si mise dietro la spalla. Quando
finì, lo posò nuovamente sul comò e fece un sospiro di
sollievo. “Bisogna avvertire babbài,” disse, sorridente.
“Bisogna dirgli che mammài e Lucia Musinu si sono recate a casa
di Raimonda Locci per assistere la figlia partoriente… Povero babbài!
Mammài non voleva disturbarlo mentre dormiva, e vedi cosa sta succedendo?”
Caterina si morsicò nuovamente il labbro. “E come facciamo ad
avvisarlo? Non vorrai mica uscire di notte!”
Teresina guardò la sorella dritta negli occhi, facendole capire che
era necessario. Caterina, allora, comprese che non ci sarebbe stata discussione.
“E va bene,” si limitò a bofonchiare, chiaramente contrariata.
Uscirono avvolte nei rispettivi scialli. Con fare furtivo, si inoltrarono
nella via Roma, risalendola fino a piazza Frontera. Quando vi arrivarono,
la piazza era deserta e male illuminata dalla luna. L’aria era spettrale,
e il silenzio che aleggiava era interrotto solo dal solito latrare dei cani
e da qualche zuffa fra gatti che si rincorrevano nei cornicioni e nei muretti.
Intanto, la brezza del vento autunnale soffiava lieve, spazzando via mulinelli
d’erba e qualche foglia secca. Le due ragazze si guardarono attorno,
nella speranza di vedere il padre e il pastore, i quali, invero, erano letteralmente
svaniti. Allora, rendendosi conto di ciò, non indugiarono oltre: lasciarono
la piazza e si diressero verso il grande sagrato dello Zampillo; e fu lì
che videro i due uomini dirigersi, a passo veloce, verso viale Don Bosco.
“Andiamo!” esclamò sottovoce Teresina, strattonando la
sorella. “Eccoli! Dobbiamo raggiungerli!”
“Ma dove vanno?” chiese Caterina, mentre seguiva la sorella.
“Non ne ho idea,” rispose Teresina che accelerava il passo. “Non
ne ho proprio idea…”
I due uomini, inconsapevoli d'essere seguiti, voltarono per la via Funtana
Brunda, superando il piccolo spiazzo, dove una fontana quadrangolare in granito,
eruttava acqua in gorgoglii sonnolenti.
“Ecco che hanno girato, “disse Teresina alla sorella. “Sbrigati
che li raggiungiamo!”
Ma proprio quando erano ormai lontane una trentina di metri dall’incrocio,
videro i due uomini sbucare nuovamente sul viale. Per evitare di gridare,
accelerarono il passo per raggiungerli, ma i due, che non le avevano viste,
si allontanarono di gran fretta, dirigendosi verso Castangias.
Le due ragazze li seguirono con il fiatone fino alla fine del viale. Erano
troppo veloci per i loro piedi, e quando pensarono di raggiungerli, perché
i due avevano rallentato per poi fermarsi, si bloccarono di colpo, vedendo
dove avevano bussato. Quella era la casa di Salis Graziedda, una conosciuta
meretrice villacidrese.
“Oh mio Dio!” gemette Teresina, visibilmente allibita, frenando
la sorella. “Oh mio Dio, Caterina! Nostro padre! Oh, povera mammài!…
Altro che preoccupato! Quel filibustiere ha approfittato della situazione!
Era tutta una messa in scena architettata con quell’ubriacone di Ziu
Basiliu!”
Intanto i due uomini attendevano che la donnaccia aprisse, e mentre aspettavano,
parlavano sottovoce.
“Giuanni, ma sei sicuro che non ci ha visto nessuno? Se mia moglie lo
scopre, sono guai!” fece il primo.
“Macchè,” lo rassicurò l’altro. “Quei
due che stavano salendo in Funtana Brunda erano troppo occupati a chiacchierare
tra di loro!... Franciscu, stai tranquillo!” e gli diede una pacca sulla
spalla.
Franciscu annuì. “Ho riconosciuto Basiliu Marongiu, il pastore
di Don Raffaele Dettori, ma l’altro non l’ho visto bene...”
“Non l’ho visto bene nemmeno io. Questa è la sua berritta!
Dovremmo chiedere a Ziu Basiliu. Magari, quando lo pescheremo in qualche bettola,”
e sghignazzarono entrambi.
In quel momento un chiavistello venne tirato, e una giovane donna malvestita,
con una candela, illuminò i visi dei due. Li squadrò un attimo,
poi disse, indifferente: “Ah! Siete voi. Entrate.”
Le due ragazze, scosse, osservarono i due uomini entrare nella casa. Disperate,
tornarono indietro, meditando il da farsi. E mentre ripercorrevano la via,
notarono in alto nel cielo un corvo gracchiante che sorvolava il paese. Teresina
strattonò la sorella, indicando il volatile e facendole capire che
quello era un segno infausto: il padre andava a donnacce e loro avrebbero
dovuto decidere che fare. Dirlo alla madre o nasconderglielo?