PaesedelleStreghe

Contus

Una tragica commedia di Streghe

di Davide

 

III

Gli stretti viottoli del paese, immersi nel buio, erano cunicoli tetri e silenziosi, dove la vita pareva non fosse mai passata. Si inerpicavano tenaci alle pendici dei monti villacidresi, per dileguarsi nei numerosi sentieri rupestri che i ragazzini, durante la stagione calda, amavano percorrere in cerca di pinoli, i quali, una volta sgranati dalle ostili pigne cadute o rubate alle alte fronde, venivano portati alle donne del paese che li utilizzavano per preparare su gatò: ghiotto dolce di zucchero caramellato, del quale quegli stessi ragazzini andavano pazzi.
Donna Maria e Lucia, guardinghe, attraversarono i viottoli acciot-tolati, sperando ardentemente di non incontrare qualche altro tiratardi; speranza che, tuttavia, fu mal riposta: una luce ondeggiante ancora in lontananza, stava venendo verso di loro, e con essa, il vocio sommesso di due uomini dall’accento continentale. Era una coppia di carabinieri.
“Ci mancavano pure questi!” esclamò spazientita Lucia, sbattendosi le mani sul grembiule e calcando ancor di più la cadenza tipica dei sardi della sua zona d’origine. Senza indugiare, tirò la padrona dentro un vicolo. “Se ci vedono, altre domande… Oh sa meri, stiamo buone qui,” aggiunse sussurrando.
Donna Maria Spanu alzò le spalle. “Fai tu!” annuì, rassegnata. “Più vado avanti, più mi sembra di essere un bandito, Lucia mia. Non capisco perché siamo qui! Ma è contro la legge incontrare una coga?”
“Certo che no!” rispose a voce bassa la serva, scrutando le due alte figure sempre più vicine. “Ma è ben chiaro che se sanno che Donna Maria Spanu và da una strega, la gente comincerebbe a pensar male… E si sa come è facile che la gente parli male!!!... Ssshhh! Ora zitte!”
I due carabinieri, con la lanterna, erano distanti pochi metri. Silenziose, le due donne cercarono di appiattirsi, di modo che questi non le vedessero. E infatti i due, chiacchierando animatamente, passarono diritti, senza accorgersi delle figure nascoste nell’ombra del vicolo.
Quando furono ben lontani, Lucia e Donna Maria uscirono allo scoperto, e parlando sottovoce cominciarono a discutere, mentre salivano la ripidissima via Coxinas, immersa nella notte; in lontananza si vedevano ondeggiare, alla lieve brezza autunnale, le sagome scure dei folti pini abbarbicati sull’imponente Monte Omo.
“Ma io mi domando,” brontolava Maria Spanu, ansimando per la salita, “perché non abbiamo chiesto direttamente alla mia bambina? Sarebbe stato molto più semplice!”
“Ma che dite!” sbottò Lucia, per nulla stanca, malgrado fosse più vecchia della padrona. “La poveretta non deve sapere nulla! Bisogna capire in che stato si trova. Volete umiliarla? Qualcuno ha approfittato della sua bellezza e bontà! L’ha sedotta, e ora è necessario proteggerla. Soprattutto, è necessario proteggere il buon nome dei Dettori in Villacidro…”
“Ma come?” chiese Donna Maria, sempre più perplessa. “Come potrà aiutarci una strega? Dio ci punirà per esserci rivolte a una serva del diavolo!”
“Macché, macché! Vedrete! Vedrete!” rispose Lucia Musinu che, dopo essersi interrotta in un attimo di assortimento, riprese: “Prima di tutto,” sogghignò, “ci dirà chi è il criminale che ha fatto questo. Poi ci suggerirà che provvedimenti prendere!” e guardando una casetta isolata, con una fioca luce ancora accesa, aggiunse: “Ecco la dimora di Giuannica Marajani… Sbrighiamoci, oh sa meri, che la strega ci aspetta!”
L’edificio basso era davvero povero: fatto decenni prima con mattoni di fango e paglia, cominciava a mostrare i segni della decadenza. Il tetto, in tegole rosse, poi era decisamente danneggiato, e si intravedevano già alcune falle, coperte alla bell’e meglio con delle vecchie canne ammuffite legate fra loro con della raffia scura.
Le due donne si avvicinarono alla porticina in legno consunto e batterono sull’anello arrugginito. Mentre attendevano, immerse nel silenzio del paese addormentato e illuminato spettralmente dalla fioca luce della luna, rabbrividirono per la brezza che soffiava a quell’altezza. L’autunno era ormai alle porte, e di lì a qualche mese, l’inverno, che si preannunciava assai rigido, sarebbe arrivato con le sue piogge e i suoi venti freddi, se non anche con la sua neve.
“Chi è?” fece, a un certo punto, una vocina arcigna dall’interno della catapecchia. “Se siete anime dannate, andate via! Io non vi posso aiutare!”
“Siamo noi, Giuannica!” fece, con voce sommessa, Lucia Musinu. “Facci entrare. Qui comincia a far freddo…”
Ci fu il clangore del chiavistello che girava, poi la sagoma di una vecchietta, vestita completamente di nero, con il fazzoletto che gli copriva il capo, si parò davanti alle due donne. “Ah, sei tu, Lucixedda. Entra,” e guardando la donna che stava con lei, aggiunse: “Voi siete Donna Maria. Bene, bene,” ridacchiò. “Per voi ho delle sorprese!!!”
Donna Maria rabbrividì. Cosa intendeva con quelle parole la vecchia megera? Ma in che razza di posto l’aveva portata Lucia?

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