Gli stretti viottoli del paese, immersi nel buio, erano cunicoli tetri e
silenziosi, dove la vita pareva non fosse mai passata. Si inerpicavano tenaci
alle pendici dei monti villacidresi, per dileguarsi nei numerosi sentieri
rupestri che i ragazzini, durante la stagione calda, amavano percorrere in
cerca di pinoli, i quali, una volta sgranati dalle ostili pigne cadute o rubate
alle alte fronde, venivano portati alle donne del paese che li utilizzavano
per preparare su gatò: ghiotto dolce di zucchero caramellato, del quale
quegli stessi ragazzini andavano pazzi.
Donna Maria e Lucia, guardinghe, attraversarono i viottoli acciot-tolati,
sperando ardentemente di non incontrare qualche altro tiratardi; speranza
che, tuttavia, fu mal riposta: una luce ondeggiante ancora in lontananza,
stava venendo verso di loro, e con essa, il vocio sommesso di due uomini dall’accento
continentale. Era una coppia di carabinieri.
“Ci mancavano pure questi!” esclamò spazientita Lucia,
sbattendosi le mani sul grembiule e calcando ancor di più la cadenza
tipica dei sardi della sua zona d’origine. Senza indugiare, tirò
la padrona dentro un vicolo. “Se ci vedono, altre domande… Oh
sa meri, stiamo buone qui,” aggiunse sussurrando.
Donna Maria Spanu alzò le spalle. “Fai tu!” annuì,
rassegnata. “Più vado avanti, più mi sembra di essere
un bandito, Lucia mia. Non capisco perché siamo qui! Ma è contro
la legge incontrare una coga?”
“Certo che no!” rispose a voce bassa la serva, scrutando le due
alte figure sempre più vicine. “Ma è ben chiaro che se
sanno che Donna Maria Spanu và da una strega, la gente comincerebbe
a pensar male… E si sa come è facile che la gente parli male!!!...
Ssshhh! Ora zitte!”
I due carabinieri, con la lanterna, erano distanti pochi metri. Silenziose,
le due donne cercarono di appiattirsi, di modo che questi non le vedessero.
E infatti i due, chiacchierando animatamente, passarono diritti, senza accorgersi
delle figure nascoste nell’ombra del vicolo.
Quando furono ben lontani, Lucia e Donna Maria uscirono allo scoperto, e parlando
sottovoce cominciarono a discutere, mentre salivano la ripidissima via Coxinas,
immersa nella notte; in lontananza si vedevano ondeggiare, alla lieve brezza
autunnale, le sagome scure dei folti pini abbarbicati sull’imponente
Monte Omo.
“Ma io mi domando,” brontolava Maria Spanu, ansimando per la salita,
“perché non abbiamo chiesto direttamente alla mia bambina? Sarebbe
stato molto più semplice!”
“Ma che dite!” sbottò Lucia, per nulla stanca, malgrado
fosse più vecchia della padrona. “La poveretta non deve sapere
nulla! Bisogna capire in che stato si trova. Volete umiliarla? Qualcuno ha
approfittato della sua bellezza e bontà! L’ha sedotta, e ora
è necessario proteggerla. Soprattutto, è necessario proteggere
il buon nome dei Dettori in Villacidro…”
“Ma come?” chiese Donna Maria, sempre più perplessa. “Come
potrà aiutarci una strega? Dio ci punirà per esserci rivolte
a una serva del diavolo!”
“Macché, macché! Vedrete! Vedrete!” rispose Lucia
Musinu che, dopo essersi interrotta in un attimo di assortimento, riprese:
“Prima di tutto,” sogghignò, “ci dirà chi
è il criminale che ha fatto questo. Poi ci suggerirà che provvedimenti
prendere!” e guardando una casetta isolata, con una fioca luce ancora
accesa, aggiunse: “Ecco la dimora di Giuannica Marajani… Sbrighiamoci,
oh sa meri, che la strega ci aspetta!”
L’edificio basso era davvero povero: fatto decenni prima con mattoni
di fango e paglia, cominciava a mostrare i segni della decadenza. Il tetto,
in tegole rosse, poi era decisamente danneggiato, e si intravedevano già
alcune falle, coperte alla bell’e meglio con delle vecchie canne ammuffite
legate fra loro con della raffia scura.
Le due donne si avvicinarono alla porticina in legno consunto e batterono
sull’anello arrugginito. Mentre attendevano, immerse nel silenzio del
paese addormentato e illuminato spettralmente dalla fioca luce della luna,
rabbrividirono per la brezza che soffiava a quell’altezza. L’autunno
era ormai alle porte, e di lì a qualche mese, l’inverno, che
si preannunciava assai rigido, sarebbe arrivato con le sue piogge e i suoi
venti freddi, se non anche con la sua neve.
“Chi è?” fece, a un certo punto, una vocina arcigna dall’interno
della catapecchia. “Se siete anime dannate, andate via! Io non vi posso
aiutare!”
“Siamo noi, Giuannica!” fece, con voce sommessa, Lucia Musinu.
“Facci entrare. Qui comincia a far freddo…”
Ci fu il clangore del chiavistello che girava, poi la sagoma di una vecchietta,
vestita completamente di nero, con il fazzoletto che gli copriva il capo,
si parò davanti alle due donne. “Ah, sei tu, Lucixedda. Entra,”
e guardando la donna che stava con lei, aggiunse: “Voi siete Donna Maria.
Bene, bene,” ridacchiò. “Per voi ho delle sorprese!!!”
Donna Maria rabbrividì. Cosa intendeva con quelle parole la vecchia
megera? Ma in che razza di posto l’aveva portata Lucia?