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TRADIZIONI A VILLACIDRO

S. Antonio | Carnevale | Pasqua | Tutti i santi | S.Barbara | Natale

A cura di Dina Madau e della III-I Scuola Media Villacidro

Tradizioni e usanze di Villacidro
in "Paese d'ombre" di G. Dessì

Una delle attività svolte durante l'anno scolastico 2000-2001 è stata la lettura del testo di narrativa da noi scelto, cioè "Paese d'ombre" perché scritto da Giuseppe Dessì, uno scrittore villacidrese, romanzo che abbiamo letto con interesse e curiosità.

Dopo aver effettuato il solito lavoro sul testo, riguardante l'analisi dei fatti, dei personaggi e dei luoghi, ci siamo soffermati a sottolineare tutte le citazioni relative agli usi, costumi e alle tradizioni del nostro paese descritte nel romanzo.

Con nostra grande soddisfazione ci siamo resi conto che molte notizie erano già di nostra conoscenza grazie alle precedenti interviste agli anziani che conoscono molto bene il nostro paese.

Ci sembrato opportuno dapprima trascriverle su un file e stamparle in una dispensa poi metterle on line per conservare e permettere a tutti di utilizzare queste informazioni;
ci auguriamo anche che possano essere utili a persone o studenti che vogliano approfondire la conoscenza del nostro paese Villacidro.

L'edizione che abbiamo utilizzato per questo lavoro è quella economica

"PAESE D'OMBRE, Giuseppe Dessì, Oscar Mondadori - Scrittori del Novecento".

La classe 3 I

 

Pagina 5 Lo scrittore descrive la tradizione secondo la quale le donne del paese passavano la farina al setaccio e lavoravano al telaio.
Pagina 6 Quando i ragazzi portavano i cavalli all’abbeveratoio, li montavano senza sella o come si diceva prima “a palo”; invece del morso mettevano una corda intorno al collo del cavallo.
Pagina 7 I ragazzi di Norbio preparavano per il loro cavallo il pranzo, esso  consisteva in una fetta di pane, una zolletta di zucchero e in una manciata di fave.
Pagina 8 Un tempo si soleva mangiare dell’uva spina, una primizia dell’orto o del frutteto, un dolce, o una minestra calda, oppure un tegame di rigiurato o gioddu, una specie di yogurt molto in uso in parte d’Ispi.
Pagina 9 Qualche volte per le grandi feste si usava regalare ai giovani e ragazzi uno scudo d’argento.
Pagina 18 Al tempo della vendemmia i carri passavano con i buoi, con la legna, con l’uva appena colta e sui muri delle case di mattoni crudi restavano i segni dei massi con il nero della marcia.
Pagina 19 Nei tempi descritti da G. Dessì, cioè ai primi del ‘900, in cucina c’erano varie pietanze, quali la minestra col formaggio e con i finocchi selvatici.
Pagina 23 L’abbeveratoio per gli animali da lavoro, cavalli, asini e buoi, fu costruito in granito e con vasche degradanti in modo che l’acqua restasse sempre pulita.
Pagina 29 Quando una persona moriva sii recitava la preghiera per i defunti.
Pagina 32 In ogni casa si usava accendere i lumini davanti alle immagini dei santi protettori.
Pagina 34 Si racconta la storia secondo la quale la volpe faceva udire di notte il suo grido dopo l’Ave Maria e ogni notte si rifugiava nel monte del Carmine dove si ritrovavano i resti delle sue vittime, in tanti anni i pastori del paese non erano mai riusciti a prenderla né con le taiole, né con i canio.
Pag. 34/35 Secondo una credenza di Norbio, l’anima dei defunti, dopo aver vagato per la campagna con l’odore di un’erba o di un fiore, sceglie una pianta, e vi si rifugia, e in quell’asilo vegetale rimane fino a quando non piaccia a Dio di accoglierla nella sua gloria….
Così tutti gli alberi hanno un’anima e i fiori hanno anime di bambini o di bambine…

Si racconta di una donna che allattava un fiore, perché forse aveva perduto il suo bambino.

Pagina 37

Secondo un’altra credenza, quando uno moriva, gli spiriti entravano nella casa del morto e dei suoi parenti e amici per raccogliere e portare via i brandelli della sua anima che, come bioccoli di lana, sono rimasti impigliati agli oggetti o ai capelli delle donne.

Pagina 39

Le coperte di lana grossa fatte dalle bisnonne in casa erano oggetti indistruttibili che si tramandavano da una generazione all’altra e la cui durata dava il senso della precarietà della vita.

Pagina 44

Secondo l’usanza, la bara del morto veniva portata sulle spalle e durante le soste veniva appoggiata su un tavolino e irrorata d’acqua benedetta dal sacerdote.

Pagina 49

Un’altra usanza era quella di  lavorare il grano e di metterlo in due grandi canestri ad asciugare.

Lo scrittore dice che le donne di Norbio possedevano due fazzoletti:
uno era la mantiglia nera di seta, l’altro era un fazzoletto giallo da mettere in testa.

Pagina 56

Sul pane abbrustolito si spalmavano le olive cotte nelle brace.

Un’altra pietanza era costituita dalle acciughe messe a macerare in un piatto con l’aceto, poi ancora il piatto preparato con le fave macinate.

Le donne andando al fiume portavano sul capo un cesto pieno di panni.

Pagina 59/60

Le donne per separare la crusca dalla farina usavano una paletta di legno di castagno.

Pagina 100 – 101

Descrizione dei giochi dei ragazzi di strada in piazza Cadoni:

  • Gioco della campana in estate;
  • Gioco dell’orologio in primavera;
  • Giochi con la trottola in autunno;
  • Gioco con le biglie di ferro, di terracotta o di vetro;
  • Gioco con i bottoni;
  • Gioco a carte nella soggetta dell’Oratorio delle Anime o sotto il porticato del Monte Granatico;
  • Testa o croce con una monetina;
  • Gioco alla guerra.
Pagina 103

“A Norbio, anche i più poveri allevavano il maiale che nutrivano con il fichidindia delle siepi o con le ghiande e chi riusciva a mettere insieme un branco, lo portava a pascolare nel bosco, dove chiunque poteva far legna…

Così anche nella più misera casa di mattoni crudi non mancava il fuoco nelle rigide notti invernali, né un piatto di minestra condita con un pezzo di lardo.”

Pagina 104

“ …una mattina, nel cortile di casa, sua madre gli mostrò una leggera colonna di fumo di fumo nero che si levava di dietro la cima di Monte Homo….
Tutti a Norbio avevano riconosciuto il fumo delle carbonaie, tutti seppero che era cominciato il taglio della foresta di Escolca…”

Pagina 117/121

Descrizione della festa di Santa Barbara:

  • fuochi d’artificio, corse di cavalli lungo la Via Roma;
  • pariglie formate da cavalli di Norbio e di Ghilarza;
  • bancarelle dei venditori di torroni di Tonara e dei sorbetti di Aritzo;
  •  venditrici di biscotti e di ciambelle in canestri deposti per terra;
  • venditori di coltelli di Pattada.
Pag. 124

La domenica tutti andavano alla prima Messa con l’abito della festa: gli uomini con la camicia pulita, le donne con i bottoni d’oro e il rosario alla cintola.
I giovani andavano alla messa grande.
Di casa a quell’ora uscivano a quell’ora solo le ragazze che andavano a prendere l’acqua alla fontana.
Quelle che avevano il pozzo se ne stavano dentro, si lavavano nel secchio, si pettinavano dietro i vetri.
Pagina 126

Citazione e descrizione del coltello da tasca

Pagina 128

Orologio da tasca che si riponeva nel taschino del corpetto

Citazione di un particolare saluto in uso tra gli anziani: “Sia lodato Gesù Cristo” diceva l’uno e l’altro rispondeva “Sempre sia lodato”.

La sera invece si diceva “Ave Maria” e si rispondeva “Gratia plena”. (pag.133)

Pagina 129

La donna in segno di lutto portava il fazzoletto nero, l’uomo invece una fascia nera al braccio.

Pag. 140

Descrizione del fornello da cucina

Pag. 144/145

Descrizione della mola di pietra azionata da un asinello bendato con la quale si trasformava il grano in farina.

Pagina 160/166

Descrizione del matrimonio religioso.

 Pag. 170

I gioielli della sposa

Pagina 172

Citazione della Via delle Tre Marie

Pagina 180

Tiro al gallo per la festa di San Sisinnio

Pagina 193

Lepre in salmì; malvasia.

Pagina 227

“Aveva tirato di fionda, una fionda fabbricata con un pezzo di pelle e di corda, che tutti i ragazzi di Norbio possedevano e usavano con abilità.
Il bersaglio poteva essere la banderuola di ferro di uno dei tanti comignoli del Palazzo arcivescovile che, colpita, girava all’impazzata emettendo un lamentoso cigolìo che si udiva anche da casa Fulgheri;
oppure il galletto di lamiera infilzato nel parafulmine dell’agile campanile di Santa Barbara che svettava sopra i tetti contro lo sfondo di Monte Homo;
o la grande campana che appariva come un triangolo nero nel vano della torre…”
Pagina 238

“Tornarono dal fiume le ragazze, portando sulle ceste grandi mazzi di menta peperita e di timo, l’acuto profumo e il loro cicaleccio.”

Pagina 258

“Da tempo immemorabile la gente distillava la terribile acquavite con mezzi artigianali.
In nessuna casa mancava il tradizionale alambicco di rame.
Il prodotto veniva venduto a Cagliari, dove era gravato di un dazio esorbitante.
Poi si sparse la voce che i distillati di Norbio avevano provocato gravi disturbi di stomaco, tanto che il protomedico Don Salvatore Cappai aveva disposto che un’apposita commissione di esperti visitasse e controllasse tutti gli alambicchi del paese, molti dei quali furono sequestrati, perché mancavano dei requisiti richiesti.
La conseguenza di questa rigorosa ispezione fu che il filuferru venne prodotto da allora clandestinamente.

A Norbio si beveva più acquavite che vino, essendo tutti, ab antiquo, convinti che con l’acquavite si combattessero efficacemente i mali.
La si usava per disinfettare le ferite, si bevevo per prevenire la malaria e specialmente le infreddature e vi si inzuppavano i succhiotti di lattanti, che smettevano di piangere e dormivano profondamente per ore, nelle loro culle di vimini, coperti di mosche.

Pagina 264

Quando passavano nella via Roma, i carri facevano tremare la terra.

Pagina 266

Era consuetudine che alla fine della trebbiatura il padrone offrisse un rustico pranzo nei campi per festeggiare l’avvenimento, e tutti vi partecipavano.

Pagina 267

Si fa riferimento ai dolci “croccanti di mandorle e zucchero bruciato”.

Pagina 275

Il diritto di voto, a fine ottocento e ai primi del novecento, era limitato ai capi famiglia che pagavano tasse per una certa somma.
Ognuno dei prinzipales, cioè dei grossi proprietari disponeva di un certo numero di voti dei massaius, cioè dei piccoli proprietari, padroni di pochi starelli di terreno, di qualche giogo di buoi, o di un branco di pecore. Durante le elezioni i più poveri stavano a guardare.

Pagina 281 Gli elettori...
erano sbarbati e vestiti a festa, con i loro abiti scuri e la camicia bianca senza colletto e portavano in tasca la lista.
Attraversavano piazza Frontiera, salivano la scalinata e, entrando, si levavano la berretta. Dietro il seggio era appeso un crocifisso e il ritratto del Re con i grandi baffi.
Là c’erano i carabinieri che aggrottavano le sopraciglia e si dimenavano come se avessero prurito alla schiena….
  Pagina 285

 “Vi erano grandi pietre lisce di color grisio scuro sulle quali le donne, stando immerse nell’acqua fin sopra il ginocchio, sfregavano e sbattevano i panni.
E’ il bau de sa madixedda, “guado della cutrettola”, benché quando il torrente è in pieno, nemmeno un branco di tori riuscirebbe a guadarlo in quel punto.”

Pagina 290

“Il pozzo di Marietta Serra era famoso a Norbio, e molti “signori” passando, si fermavano a bere.
Era situato al centro del vasto cortile quadrato, tutto coperto da un pergolato così fitto che a stento il sole vi penetrava.
I grappoli dell’uva corniola, ormai maturi, pendevano tra le foglie.”

Pagina 295

Viene descritta la vasta cucina di casa Fulgheri:
“…pavimentata di lastroni di grigia pietra lavica, le pareti ricoperte di lucide mattonelle, il grande tavolo di castagno massiccio, le seggiole basse, dipinte a fiori, i capaci armadi, e la mensola sulla quale stavano allineate le rustiche brocche per l’acqua potabile, sempre umide e trasudanti, chiuse da grossi tappi di sughero;
e le donne indaffarate, con le maniche rimboccate sulle braccia rosse, il viso imporporato dal fuoco del camino.”

Pagina 323

Descrizione dei piccioccus de crobi, della via Roma e del porto di Cagliari.

Pagina 329

“Angelo cambiò la faccia di Norbio.
A nessuno sarebbe mai venuto in mente di mettere quei lampioni per le strade, uno ogni duecento passi,
…così era stato per il Lavatoio, così fu per il Mattatoio, e così, infine, fu per la Pineta, al punto che i bambini della scuola si assunsero l’impegno, dopo che i primi pini furono piantati attorno alla chiesetta del Carmelo, di innaffiarli ogni giorno.

All’uscita di scuola si vedevano in fila indiana, con una brocchetta di terra, salire verso la chiesa, per innaffiare ciascuno il proprio pino.
Ogni bambino se ne era scelto, ognuno aveva il suo e lo aiutava a crescere con quel po’ d’acqua…
Non accadde nemmeno che le piantine fossero mangiate dalle capre.
I caprai passavano lontano e se qualche bestia veniva attratta da quel verde, che da piazza rontera sembrava muschio sulle rocce, subito la faceva rientrare nel branco. Così le pianticelle crescevano indenni…

 

 

Pagina 342

Descrizione della maschera caratteristica del carnevale di Norbio., cioè quella del cacciatore.

“La sua tenuta è approssimativamente quella di un cacciatore, solo che gli abiti sono di colori strani e sgargianti, dal giallo all’azzurro e sempre rappezzati.
Porta a tracolla un tascapane pieno di crusca ed è armato di un fucile che, per mezzo di una cannuccia inserita nella culatta, gli serve a lanciare sbruffi di crusca in faccia alla gente. Chi viene colpito deve pagare da bere…”

 

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