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VILLACIDRO: UN PO' DI STORIA

A cura di Ignazio Fanni
potecariu

L'AEROPORTO DI TRUNCONI - S'ACQUA COTTA II
1943

GLI AEREI AMERICANI: I B-26 MARAUDER

A Villacidro sia gli americani che i francesi volavano sui famosi bombardieri bimotori Gleen Martin B-26 Marauder.

Sfruttando i benefici della legge affitti e prestiti, i francesi ricevettero dagli USA circa trecentotrenta B-26 , tra nuovi e usati. Quelli usati erano in gran parte mal ridotti ma soltanto uno non poté essere recuperato e fu adoperato come fonte di pezzi di ricambio.
(Les Marauders Francais, di Patrick Ehrhardt, Ed. du Polygone, Ostwald, 2001, pagg. 378 e 55).

In effetti, la legge affitti e prestiti avrebbe dovuto riguardare solo gli aerei nuovi, ma al proposito la situazione non era per niente chiara perché tale legge, in effetti, era un escamotage contabile del governo americano per poter cedere a governi stranieri cobelligeranti (che non avevano neanche finito di estinguere debiti risalenti alla Prima guerra mondiale e che al momento erano privi di fondi) beni e armamenti con la promessa che sarebbero stati pagati a guerra finita.

In pratica dal novembre del 1943 al settembre 1944, tutti i B-26 operanti nel teatro italiano, erano di base in Sardegna :
Decimomannu (aviazione americana) e Villacidro (aviazione americana e aviazione francese della France libre) per un totale di circa *****

Caricamento bombe a bombardiere B 26Il Marauder (predone) veniva prodotto dalla Glenn Martin negli stabilimenti di Baltimora su progetto di Peyton M. Magruder.
La produzione in serie, iniziò nel febbraio del 1941 e terminò nell’aprile del 1945. Ne furono costruiti 5157 esemplari. L’ultimo B-26 costruito lasciò gli stabilimenti della Glenn Martin¸ nell’aprile del 1945. Portava il numero di serie 44-68254, e gli fu dato il nome di TAIL END CHARLIE –“30”. Era destinato all’ Armée de l’air française e fu consegnato al GMB Gascogne il primo gennaio 1946.
Si trattava di aerei di nuova concezione, progettati e immediatamente messi in produzione senza i dovuti collaudi.
Innovativo era anche il carrello: eliminato il ruotino posteriore, venne dotato di un ruotino anteriore che rientrava sotto il muso, mentre le ruote principali rientravano dentro le gondole dei motori.
In effetti erano degli ottimi apparecchi, ma fu necessario apportare qualche modifica (soprattutto ottimizzazione della superficie alare) prima che potessero essere considerati sufficientemente sicuri. Inoltre dovevano essere pilotati in maniera totalmente diversa rispetto agli aerei precedenti.
Prima che fossero apportate queste modifiche e prima che i piloti imparassero questo nuovo modo di condurre un velivolo, si verificarono numerosissimi incidenti e si dice che in questo periodo di allenamento furono distrutti più B-26 di quanti non riuscì ad abbatterne in seguito il nemico, tanto che nei due campi di addestramento al volo di Tampa e di Barksdale (imitando il ritmo della cantilena usata dalle truppe americane durante la marcia) si cantavano queste strofe:
bombardiere B 26 a Villacidro “One-day- in-Tampa-Bay” e “Two-a-day-the in Barksdaleway” (uno al giorno a Tampa e due al giorno a Barksdale). E al B-26 furono presto affibbiati i nomignoli di:
bara volante, la fabbrica di vedove, la puttana di Baltimora (dalla città nella quale aveva sede la Gleen Martin nei cui stabilimenti veniva prodotto il B-26), Martin Murderer (Martin Marauder è il nome dell’aereo ma Martin Murderer significa Martino l’Assassino).

In effetti questo apparecchio fu, in seguito, considerato un eccellente bombardiere che ebbe modo di dimostrare tutte le sue doti nei cieli del Nord Africa, Italia, Francia e Germania. Era infatti una macchina potente, affidabile e molto robusta soprattutto nell’incassare le bordate della contraerea e dei caccia nemici. In proporzione al numero di missioni compiute da ogni aereo, fu senz’altro l’aereo americano che subì il minor numero di abbattimenti durante il Secondo conflitto mondiale.

Anche dopo la sua ottimizzazione tuttavia incidenti si verificarono soprattutto al decollo per lo scoppio di qualche pneumatico. Ma pare che la causa fosse da ricercarsi soprattutto negli pneumatici, e infatti proprio a Villacidro, fu inviata una delegazione della *******per esaminare il problema.
L’atterraggio avveniva alquanto bruscamente ma la solidità e la stabilità del carrello a triciclo, unita all’efficienza dei freni a disco, facilitava il compito dei piloti. Avieri americani intorno a un motore di B 26

Per quanto riguarda il modello B-26 G25 , le due eliche quadripala erano azionate da due motori R-2800-43 da 1920 HP della Pratt & Whitney. Questi motori, muniti di turbocompressore e dotati di 18 cilindri disposti a doppia stella, erano in grado di sviluppare una velocità di 454 km/h e di portare i velivoli a una quota di 6.400 m. Il velivolo, con un carico di 1360 kg di bombe e 4367 l di benzina, aveva un’autonomia di 1850 km, 4590 km con i serbatoi supplementari. Era lungo 17,75 m e aveva un’apertura alare di 21,64 m. Pesava, a vuoto, 10.890 kg.

ICARE, Le Debarquement, tome 3, pagg. 84,85,86.87,88) pag.98

Era dotato di un eccezionale armamento difensivo che dalle quattro iniziali era via via aumentato fino a raggiungere le 12 mitragliatrici da 12,7 mm, nella versione finale: 6 nella parte anteriore (una o due nel muso, quattro fisse sotto l’attaccatura delle ali) e 6 nella parte posteriore (due ai fianchi, due nella torretta sul dorso e due nella torretta di coda).
In caso di abbattimento, l’unica via di scampo per gli occupanti la parte anteriore dell’aereo, era costituita da una botola posta sotto il sedile del copilota e che portava nell’alloggiamento della ruota anteriore del carrello a triciclo. Quindi, prima dell’abbandono dell’aereo il pilota doveva necessariamente azionare il comando per la fuoriuscita di questa ruota.Bombardieri americani in formazione di volo

Poteva trasportare due tonnellate di bombe sistemate in un vano al centro dell’aereo. Le bombe erano agganciate a un supporto a “V” la cui base poggiava su una putrella che permetteva anche il passaggio agli uomini per portarsi dalla cabina centrale ai posti di combattimento posteriori. Il vano bombe era chiuso da due enormi portelloni che si aprivano, ripiegandosi , sotto la spinta di due grossi martinetti idraulici.
L’apertura e la chiusura era comandata dal bombardiere che doveva maneggiare anche il visore Norden.
Il carico di bombe poteva essere costituito da due bombe da una tonnellata, quattro bombe da 500 chili, otto da 250 oppure quaranta da 50 chili. Potevano essere usate anche bombe antiuomo. Queste bombe chiamate “frag” (fragmentation bomb), erano appese a un’armatura e formavano una sorta di grappolo (cluster). Potevano essere caricati sino a 30 grappoli da 6 frag ognuno. L’armatura veniva sganciata insieme alle bombe e iniziata la discesa, le bombe si separavano dall’armatura e proseguivano per i fatti loro.
Con questo tipo di bombe, il bombardamento poteva essere effettuato solo con gli aerei disposti in formazione a volo d’anitra, per evitare che gli aerei a una quota inferiore fossero colpiti dai sostegni che evidentemente, non offrendo al vento la stessa resistenza delle bombe, scendevano in maniera differente da queste.

BombardamentoLe bombe normali erano fornite di due percussori, uno nell’ogiva e uno nella parte posteriore. A quest’ultimo era collegata una piccola turbina che ne bloccava il funzionamento. A sua volta, il funzionamento di questa piccola elica era interdetto da una coppiglia di sicurezza e da un filo di acciaio fissato al lanciabombe.
In volo il mitragliere-armiere passava nel vano bombe e toglieva tutte le coppiglie. Al momento del lancio il filo d’acciaio, restando fissato alla struttura dell’aereo, liberava le piccole turbine che durante la caduta delle bombe si mettevano a girare e svitandosi liberavano il percussore. Le bombe erano, così, armate e pronte a esplodere.
In caso di emergenza le bombe potevano essere sganciate anche inerti. Se si metteva il selettore di lancio nella posizione “salvo” le bombe venivano sganciate insieme al filo di acciaio e quindi il percussore non veniva armato.
Esistevano anche dei percussori che permettevano lo scoppio delle bombe solo alcune ore dopo l’impatto. Erano costituiti da grosse bottiglie di spesso vetro verdastro che venivano avvitate alle bombe durante il volo. In caso di missione annullata il mitragliere-armiere doveva svitarle con molta attenzione e gettarle fuori dall’aereo, possibilmente in mare. Il colonnello Robinsos (istruttore americano) era solito ripetere:
- Sino a quando avete a bordo le bombe, lavorate per il vostro governo, dopo averle sganciate lavorate per voi stessi
(le “Bretagne” di Jean Moine, sulla rivista ICARE, Le Debarquement, tome 3, pagg. 84,85,86.87,88)

I bombardieri medi si prestavano molto bene anche per la distruzione di obiettivi relativamente piccoli come un ponte, un deposito di munizioni, una concentrazione di truppe ecc. Per questo motivo i B-26 volavano in formazione compatta a un’altezza di 3.000 – 4.000 metri. Questo tipo di formazione consentiva, da un lato, una discreta difesa dalla caccia nemica e dall’altro una concentrazione quasi istantanea di materiale esplosivo sopra l’obiettivo. La relativa precisione dei bombardieri USA era dovuta al fatto che erano forniti del visore Norden il quale, anche se di un uso non troppo semplice, tuttavia permetteva di centrare l’obiettivo con una certa precisione.
Per bombardare i ponti fu adottata una tecnica particolare. Partendo, appunto, da una quota di 3.000 – 4.000 metri, l’ obiettivo doveva essere abbordato perpendicolarmente e nel mezzo. Per questo tipo di bombardamento, l’elemento base era una formazione compatta di sei B-26 costituita da due flight di tre aerei.) Les Marauders ……..

Sino al 1994 tutti gli aerei americani erano mimetizzati con una verniciatura verde oliva sul dorso e azzurro pallido sul ventre. Gli aerei costruiti dopo tale data, invece, erano privi di verniciatura e quindi color alluminio (natural metal)
Il 1946, con la consegna dell’ultimo B-26, segnò anche la fine di questo bombardiere. Gli apparecchi dislocati nei vari teatri di guerra, alla fine del Secondo conflitto mondiale, non furono rimpatriati negli Stati Uniti ma avviati direttamente alla rottamazione. In particolare quelli che avevano operato nel teatro europeo furono portati nella cittadina di Landsberg, vicino Monaco di Baviera, dove furono distrutti e l’alluminio vista la catastrofica situazione dei paesi europei, recuperato per usi civili.
Il migliaio di aerei che si trovavano invece ancora sul suolo americano utilizzati nelle scuole di pilotaggio o per trainare i bersagli aerei, furono radunati nei siti di stoccaggio, il più noto dei quali era a Walnut Bridge in Arkansas, a disposizione dei soliti rottamatori.
Anche gli inglesi e i sudafricani, a guerra finita, si disfecero dei loro B-26.
Solo la Francia conservò intatta la sua flotta di Marauder utilizzandoli come aerei da trasporto. Ma la mancanza di pezzi di ricambio, ormai praticamente introvabili, accelerò la loro dismissione e la conseguente rottamazione: l’ottimo alluminio made in Usa poteva ben essere fuso per trasformarsi in ottime pentole e casseruole. Tuttavia due esemplari di Marauder appartenuti ai francesi sono esposti in altrettanti musei.

Già dal 1954 l’ USAF Museum di Dayton (Ohio) era alla ricerca disperata di un B-26 Marauder per arricchire la sua collezione. Ma solo a marzo del 1963 il direttore di quel museo venne a conoscenza che in Francia esistevano ancora due esemplari di B-26 in buono stato di conservazione. Fu organizzato uno scambio e i francesi barattarono il loro B-26 contro un DC-3.
Nel 1965 l’aereo fu smontato con ogni precauzione e trasportato negli Stati Uniti su un cargo C-124 Globemaster, dove fu pazientemente rimontato. Si trattava del B-26 G-10-MA n.° 43-34581 al quale gli americani, operando un piccolo falso storico, applicarono la stella bianca dell’aviazione USA e il numero di un loro squadrone da bombardamento. Tuttavia un cartello ricorda ai visitatori, che sono in presenza di un Marauder appartenuto ai francesi.

L’altro esemplare, il B-26 G-25-MA n. 44-68219, fu destinato al Musée de l’Air et de l’Espace di Paris - Le Bourget dove, dal 30 luglio 1998, fa bella mostra di sé vicino al più famoso Concorde.

(Les Marauders Francais, di Patrick Ehrhardt, Ed. du Polygone, Ostwald, 2001, pagg. 443, 445, 446 e 447).

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